In Factory | 3GATTI
Urban Landscape in Shanghai Shanghai / China / 2006
Amore Acido*
Progetto per la riqualificazione di un ex area industriale nel centro di Shanghai
Sensibilità per il dettaglio, calligrafia, ossessione per il corpo, autodistruzione: sono alcuni dei termini che vengono in mente mettendo a confronto la In factory di Francesco Gatti, con I racconti del cuscino di Peter Greenaway e Nove oggetti di desiderio della scrittrice cinese Mian Mian. Un architetto italiano che progetta la riqualificazione di un’area dismessa nel centro di una megalopoli cinese, un regista inglese che indaga con occhio occidentale e incantato la sensualità della scrittura orientale, una scrittrice di Shanghai che scrive racconti autobiografici in cui i personaggi ascoltano i Beatles e leggono Freud.
In comune una capacità di narrazione intensa, persa fra l’osservazione di un mondo estraneo più che straniero e la passione per le piccole cose. I layers con cui Greenaway divide lo schermo e sovrappone diverse storie mettendole in analogia, acquistano una valenza tridimensionale nelle piazze di Francesco Gatti. I piani della In factory si dispongono verticalmente e orizzontalmente, sono opachi (i cartelloni pubblicitari), trasparenti (i “muri” creati dalla successione di tiranti metallici), mutevoli (la vite canadese cambia aspetto con le stagioni), ma soprattutto specchianti (come l’acciaio trattato delle panchine o le superfici orizzontali del “soffitto”).
Ne viene fuori uno spazio che lavora sulla densità degli eventi, in particolare nel cortile principale, dove i tiranti urtati generano con le proprie vibrazioni un suono, mentre le lampade, appese a quote differenti, oscillano sotto l’azione del vento. Il progetto è sensibile nell’uso dei materiali e dei colori. Adopera alcuni elementi locali, come i ciottoli e il bambù, ma ne fa un uso occidentale, misurato tra ingenuità e contemplazione estetica (alla stregua degli ideogrammi cinesi dipinti sui corpi dei personaggi di Greenaway), sommando tradizione e contemporaneità, natura e artificio, immaginario occidentale e immaginario orientale.
Dai piani superiori degli edifici circostanti la tessitura del “soffitto virtuale”, fatto di tiranti metallici, si sovrappone alla texture della pavimentazione intervallata da panchine, acqua e verde. Chi osserva e si sposta lungo i corridoi vede le textures animarsi.
L’in factory è destinata ad autodistruggersi, come gli amanti dei racconti di Mian Mian. Immaginata come biglietto da visita per la comunità di artisti e creativi che di li a poco si sarebbero spostati nell’area, comincia a mostrare un’usura precoce, a causa dei traslochi e dei lavori che sono avvenuti recentemente. Un’istallazione a scala urbana, incapace di sopravvivere al motivo stesso che l’ha generata: il convincere nuovi acquirenti a spostare all’interno dell’area recuperata le proprie attività professionali. Francesco Gatti ha considerato l’eventualità che il suo progetto potesse avere una vita breve, definendo due componenti: una pavimentazione fissa e durevole e un soffitto virtuale e effimero, generato dall’orditura dei cavi metallici.
E’ difficile parlare di un progetto che intreccia culture come se fossero viti canadesi che si arrampicano su un tirante metallico; i luoghi comuni sulla globalizzazione e sulla Cina hanno di fatto reso povera la letteratura che parla della recente architettura prodotta dagli occidentali in Cina.
Forse l’In factory, con la sua transitorietà fisica e temporale, rappresenta bene l’opposto di questa relazione oriente-occidente: la velocità con cui la cultura cinese sta metabolizzando il gap che la separava dal resto del mondo, è la stessa con cui le nuove realizzazioni degli occidentali, per natura legate ad un background culturale e storico stratificato, vengono consumate e riciclate in Cina.
In questa ottica di perenne trasformazione il corpo (come descritto e usato da Greenaway, Mian Mian e Gatti) sembra essere l’unico strumento attraverso il quale sopravvivere al mondo: sia esso usato per comunicare, provare dolore e piacere o percepire lo spazio.
*titolo originale Yansuan qingren di un racconto di Mian Mian, © 1997 by Mian Miam
Testo di Giampiero Sanguigni
IN FACTORY CREDITS:
Programme:
Public open spaces, offices, restaurant, bar, club, art galleries, shops.
Architect:
3GATTI.COM ARCHITECTURE STUDIO
Chief architect: Francesco Gatti
Project manager: Peter Ye
Collaborators:
Paola Riceci, Candy Zhang, Vivian Husiyue, Ben Hou, Ingrid Pu, Sunny Wang, Chen Han Yi, Robin Feng
Contractor: Shanghai East Architecture Institute
Engineer:
Gu Qihong
Client:
Shanghai Shang ‘an Development and Administration Ltd
Location:
Jing An district, Shanghai, China.
Total floor area:
7700 m²
Design period:
1/2006 – 2/2006
Construction period:
2/2006 - 4/2006
Materials:
Concrete coated bricks, steel wires, corten, stainless stell mirror, mirrored glass, painted stones.
Green:
Bamboo, grass, american vine.
Amore Acido* Progetto per la riqualificazione di un ex area industriale nel centro di Shanghai Sensibilità per il dettaglio, calligrafia, ossessione per il corpo, autodistruzione: sono alcuni dei termini che vengono in mente mettendo a confronto la In factory di Francesco Gatti, con I racconti del cuscino di Peter Greenaway e Nove oggetti di desiderio della scrittrice cinese Mian Mian. Un architetto italiano che progetta la riqualificazione di un’area dismessa nel centro...
- Year 2006
- Work started in 2006
- Work finished in 2006
- Status Completed works
- Type Parks, Public Gardens / Public Squares / Urban Furniture / Neighbourhoods/settlements/residential parcelling / Adaptive reuse of industrial sites / Landscape/territorial planning / Factories / Lighting Design / Urban Renewal / Metropolitan area planning / Furniture design
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